Emicrania cronica

L’emicrania è definita una cefalea primaria, in quanto non si riconosce una causa patologica sottostante specifica e rappresenta uno dei disordini neurologici più frequenti nella popolazione benché il suo impatto sulla vita di chi ne è affetto sia ancora oggi sottostimato.

In realtà il “mal di testa” è una situazione molto seria, molto penosa per chi ne è affetto e spesso invalidante a 360 gradi. Ma purtroppo rientra in quella serie di patologie non diagnosticabile con una lastra o dei parametri ematochimici oggettivi e prevalentemente rilevabile su dati soggettivi riferiti dal paziente. Per tanto tempo è stata ritenuta una patologia pretestuosa, inventata o per lo meno ingrandita al fine di utilizzarla come arma giustificatoria.    Negli ultimi anni per fortuna le cose stanno cambiando.

I dati dello studio Global Burden of Disease (GBD) del 2019 la posizionano al secondo posto tra i disturbi maggiormente diffusi nella popolazione e al primo posto per quanto riguarda le giovani donne e la identificano quale una delle principali cause di disabilità a livello mondiale. E’ riportata una prevalenza del 14,4% della popolazione mondiale, tre volte maggiore nel sesso femminile rispetto al sesso maschile. In Italia ha una prevalenza in circa il 25% dei soggetti di cui circa il 33% delle femmine ed il 13% dei maschi.

L’esatta patogenesi dell’emicrania non è ancora del tutto chiarita, è spesso ritenuta un disturbo neurovascolare e del metabolismo energetico delle cellule cerebrali. La teoria più comune è correlata ad una maggiore eccitabilità della corteccia cerebrale e ad uno sbilanciamento del tono eccitatorio-inibitorio associato ad un controllo anormale dei neuroni del dolore nel nucleo trigeminale del tronco cerebrale. Ad oggi sono disponibili  Linee Guida e Protocolli validati per il trattamento di questa malattia tuttavia la sua gestione rimane molto variabile a causa delle risposte interindividuali talvolta molto difformi. Come controproposta, alcuni studi, hanno indicato un trattamento alternativo, mirando all’aspetto più prettamente metabolico, tendenzialmente sottovalutato, della fisiopatologia dell’emicrania.

Il trattamento prevede approcci farmacologici (confermati base della terapia), tecniche comportamentali, agopuntura e recenti tecniche di neurostimolazione anche chirurgiche. Una parte della popolazione affetta da emicrania non è però responsiva ai trattamenti clinici convenzionali e manifesta la cosiddetta, emicrania refrattaria, con sintomi che tendono a perdurare e a cronicizzare con rischio di abuso farmacologico ed effetto paradosso sul sintomo stesso (MOH – Medication Hoveruse Headaches o cefalea da uso eccessivo di farmaci). La dieta è stata a lungo considerata cruciale in riferimento alla convinzione che alcuni alimenti potessero fungere da trigger e scatenare un attacco emicranico, portando a restrizioni alimentari in assenza di dati scientifici comprovati. Le strategie dietetiche che inducono una chetosi controllata sono dei nuovi strumenti che hanno ottenuto risultati favorevoli riportati in pubblicazioni in progressivo aumento. La dieta chetogenica infatti può avere effetti direttamente sulle cellule cerebrali ristabilendo l’equilibrio eccitatorio della neurotrasmissione corticale ed avrebbe anche la capacità di ridurre la neuroinfiammazione a livello dei nervi del trigemino e della meninge intracranica, oltre a  ridurre lo stress ossidativo, prevenendo il danno ossidativo al quale i soggetti affetti da emicrania sono maggiormente suscettibili. Inoltre i corpi chetonici hanno un effetto estremamente energetico per il cervello che si trova con un carburante a disposizione estremamente efficace, in grado di migliorare la sua capacità stessa di procurarsi energia (attraverso al mitocondrio genesi). Utilizzare la dieta chetogenica significa avere possibilità di riduzione di frequenza, durata ed intensità del dolore emicranico e, in caso di presenza di aura, anche di eliminazione dell’aura stessa.

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